22.09.2013. Come previsto da Fertlumen ( vedi articolo del 21.7.2013, La fine del QE si allontana ) tanto tuonò che non piovve; il temuto tapering non c'è stato e c'è da scommettere che, come minimo per qualche mese ancora, non ci sarà. Spaventata dalle reazioni dei mercati all'annuncio dato nello scorso mese di giugno e indotta al ripensamento da molti parti politiche e addirittura dal Fondo Monetario Internazionale, la FED ha deciso di non eliminare e neanche di ridurre gli 85 miliardi di dollari mensili di “stimoli monetari”.
Scelta insieme politica ed economica dunque.
Non devono trarci in inganno i segnali di ripresa provenienti da oltre oceano che parlano di un PIL USA a + 2,5 % nel secondo trimestre e a diffusi segnali di ripresa del mercato immobiliare. L'inflazione ancora sotto la soglia di attenzione del 2% e i dati sull'occupazione peggiori del previsto hanno fornito lo spunto per non tagliare le operazione di Quantitative Easing evitando in questo modo un salto nel buio dalle “imprevedibili conseguenze sui mercati”. Come ogni tossicomane che si rispetti i mercati avrebbero reagito malissimo alla riduzione o addirittura alla cancellazione della loro dose mensile di droga. “Molto meglio temporeggiare ancora un po'” è quello che deve aver pensato Bernanke.
Da un punto di vista macro anche dall'Europa arriva qualche segnale di miglioramento, con il Pil aggregato dell'area Euro che ha segnato un piu' 0,3 % dopo sei semestri consecutivi di ribasso, sia pure con situazioni diverse tra i vari paesi. Si passa dal + 0,7 % della Germania al – 0,2 % dell'Italia.
Operativamente “rompere gli indugi” ha un significato ben preciso. Anche se sul mercato obbligazionario il rialzo dei tassi e la discesa dei prezzi che ha portato il T- NOTE al 2,9 % e il Bund all' 1,94 % dovrebbero essere arrivati al momento di una pausa che non sarà molto breve, e anche se le banche centrali hanno nuovamente ribadito l'intenzione di tenere i tassi bassi ancora per un lungo periodo, le enormi iniezioni di liquidità hanno causato una sopravvalutazione ingiustificata dei prezzi dei bond corporate investment grade e dei titoli di stato dei paesi "core". Per i corporate bond, soprattutto per quanto concerne le emissioni più accessibili ai piccoli risparmiatori, quelle con piccoli tagli negoziabili, le obbligazioni sono spesso quotate a livelli illogici sia in termini di ritorno assoluto, sia in rapporto ai fondamentali delle degli emittenti. Che senso ha mantenere in portafoglio, ad esempio, un'obbligazione Eni 2017 al 4,875% che quota 112 ? O una Enel 2018 4,75 % che quota 109 ?
Stesso identico discorso per i governativi "core”. La Germania paga meno del 2 % per un titolo a dieci anni, la Francia il 2,3 %, l'Olanda e l'Austria il 2,2 % .
E' già da un po' che Fertlumen sostiene l'opportunità di vendere tutti questi prodotti e chi ha seguito il consiglio ne ha già tratto beneficio.
Attenzione ad aspettare ancora perché il tempo stringe sempre di più, malgrado la fine dell'epoca degli stimoli monetari sia stata rimandata a data da destinarsi. Tenere in portafoglio questi prodotti significa assumersi il rischio di avere nei prossimi anni ritorni reali al netto dell'inflazione anche nulli o negativi. Non è più tempo di indugi. E' opportuno liquidare tutte queste posizioni, le alternative non mancano certo. Dai conti di deposito per gli investitori più timorosi, alle obbligazioni senior delle banche italiane e ai titoli di stato italiani per chi nutre un minimo di fiducia nel futuro del paese. (GAL)
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